martedì 23 febbraio 2010

La fine di Elvis. [Grazie Gianluca!]


Il tintinnio del bicchiere non era un tintinnio, era il fragore della bottiglia che si spaccava sul pavimento del locale, urtata accidentalmente da un ballerino impaurito dalla scena che stava accadendo.
La bottiglia cadeva mentre il pugno si schiantava in mezzo agli occhi del piccolo Woody Allen vestito da James Dean, il fragore, confuso tra le bestemmie isteriche del grassone adirato, era diventato un tintinnio.
Non c’era millenium che tenesse, anche la musica si era fermata attorno al cerchio che si era formato attorno a lui.
Il suo viaggio era terminato nel bel mezzo della pista, in quel localaccio di piccoli ozzy, altro che elvis; al suo “tu non esisti” il ciccione imbufalito si mosse per abbatterlo.
Come un fuscello nella savana al passaggio del rinoceronte, elvis, caddè con un tonfo sordo a terra.
Tutto il resto fu un enorme sega mentale, immaginata da un moribondo sull’ambulanza diretta al Sant’Orsola. Non c’erano bagnine di baywatch ne gommisti con orrendi maglioni a righe, non c’era nessun mondo immaginario e a dirla tutta neppure nessun tradimento, solo l’enorme insicurezza di quel piccolo omuncolo senza una vera e propria identità, che elemosinava figure rassicuranti da un passato che non aveva mai vissuto.
Era la meretrice che aveva dato le sue generalità alla volontaria della croce rossa, e che ora sedeva li di fianco al suo lettino in corsia, ascoltandolo vaneggiare, ed al suo risveglio lei lo guardava in silenzio. Come se non ci fosse più niente da dire.

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